Alienazione genitoriale: alcuni rimedi possibili

Scritto il 19 Novembre 2017 in Divorzio e Separazione

Alienazione genitoriale: quali potrebbero essere i rimedi? È uno degli interrogativi chiave quando si affronta il grave problema dell’alienazione genitoriale. Si parla tanto di alienazione genitoriale e alcuni punti fermi sono stati indicati dalla Cassazione.

Così, è ormai chiaro che l’alienazione genitoriale non è una malattia o un disturbo psichico della persona, ma è una sindrome, un disturbo della relazione tra genitori e figli.

Altrettanto risaputo è che l’alienazione parentale consiste nell’interruzione del rapporto tra un genitore e il figlio, o nel divenire esso particolarmente difficoltoso; e ciò a causa del rifiuto che il figlio esprime a parole o con i comportamenti nei confronti di un genitore.

 

Quali sono, dunque, i rimedi contro l’alienazione genitoriale?

Ci sono ormai decine di articoli su internet che, partendo dalle prime teorizzazioni della PAS da parte di Gardner, si soffermano sul fenomeno, descrivendone le varie manifestazioni; non altrettanto però può dirsi per i rimedi.

Questo dipende dal fatto che fino ad oggi nessuno ha trovato una cura efficace contro l’alienazione parentale, ma è più corretto dire che la medicina è troppo amara perchè chi dovrebbe somministrarla trovi il coraggio di prescriverla.

E la conferma di questa mancanza di coraggio o di volontà la si trova nelle sentenze, anche quelle più recenti in argomento.

 

Decisioni inefficaci contro l’alienazione genitoriale

Prendiamo, per esempio, l’ultima decisione sfornata dalla Cassazione. Si tratta della sentenza n. 22744 del 28 settembre 2017.

Nel caso affrontato, l’alienazione genitoriale a carico dei figli di una coppia di coniugi separati era stata accertata mediante una consulenza tecnica: “ (…) sui ragazzi, e soprattutto sul figlio A., erano state riscontrate manifestazioni di allarme e diffusa percezione di pericolo nel rapporto col padre, pericolo di fatto inesistente, e una evidente labilità emotiva tale da rimandare a manifestazioni isteriche a tipo di sindrome di alterazione parentale (PAS); ciò a fronte di un rapporto di dipendenza e di attaccamento simbiotico dei figli alla madre; (…)”.

Ciò nonostante, erano stati disposti incontri protetti tra i minori e il padre.

In pratica, a causa del rifiuto verso il padre, il giudice aveva limitato quei rapporti, stabilendo che essi si svolgessero in un ambiente anonimo e sotto lo sguardo scrutatore di “educatori”.

Come dire, che di fronte ad un’influenza che ti colpisce nella stagione fredda, il medico ti prescrive di passare un’ora in terrazza la sera prima di coricarti!

Ma il bello è che questo incatenamento dei rapporti era stato confermato anche dalla Corte d’Appello. Come si legge, infatti, nella decisione della Suprema Corte, la corte territoriale “nella prospettiva di migliorare il rapporto tra i minori e il padre, concludeva nel senso di mantenere ferma la previsione di incontri protetti e monitorati nell’ambito del predetto regime”.

Mi convinco sempre di più che molti giudici (non tutti per fortuna) prendano le decisioni come se vivessero sull’Olimpo, come se fossero del tutto ignari di ciò che succede agli esseri umani nella vita reale. Ma, dico, ci rendiamo conto che cosa significhi incontrare un genitore in ambiente protetto?

Neppure il dubbio che il fatto di dover incontrare il papà in un ufficio pubblico, alla presenza di estranei, e per un tempo del tutto limitato, avrebbe sortito l’effetto contrario a quello del riavvicinamento dei figli al padre?

Ma non è tutto, dato che la decisione di continuare gli incontri in ambiente protetto non è stata rimossa dalla Cassazione. Il ricorso alla Suprema Corte, infatti, era stato proposto dalla madre (per intenderci, era lei il genitore alienante), non contenta dell’affidamento condiviso, la quale lamentava che occorreva decidere per l’affidamento esclusivo a lei, tenendo conto della volontà espressa dai figli e non della CTU che aveva teorizzato una PAS, deviando dalla scienza medica.

La Cassazione respingeva il ricorso della donna, osservando che la corte d’appello aveva deciso bene, non essendosi soffermata sulla PAS, ma avendo applicato i principi della bigenitorialità.

Resta da capire in cosa sarebbe consistita l’applicazione del principio di bigenitorialità in una decisione come questa!

Il caso che Vi ho portato ci dà, dunque, la misura di quale e quanta ritrosia ci sia ancora oggi, da parte dei giudici, nel dire “pane al pane e vino al vino”.

Come teorizzava Gardner e come ritroviamo, ancora oggi, suggerito da molti autorevoli psicologi, i rimedi contro l’alienazione parentale  – quando questa è conclamata o sta per deflagrare – dovrebbero passare attraverso l’allontanamento temporaneo del figlio dal genitore alienante; e ciò non per punire il genitore alienante, ma per favorire una presa di distanza del figlio dai messaggi e dai comportamenti condizionanti di detto genitore (si parla in merito di “stanza di compensazione”); salvo ripristinare i rapporti con l’alienante dopo che il percorso psicoterapeutico da intraprendere e il “disinquinamento ambientale” abbiano prodotto effetti benefici.

Purtroppo, questo approccio richiede decisioni coraggiose perchè si tratta di rimedi forti, risoluti, che possono essere vissuti dall’altro come una punizione. Da qui la ritrosia ad applicare questo rimedio.

 

 

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Esistono rimedi preventivi contro l’alienazione genitoriale?

Tra i rimedi contro l’alienazione genitoriale non possiamo tralasciare quelli preventivi, che anzi dovrebbero/potrebbero costituire il vero rimedio.

L’intervento preventivo è rappresentato dalla mediazione che, peraltro, dovrebbe svolgersi tra i genitori fin dall’avvio dell’iter separativo, accompagnata da una sorta di formazione sulle buone regole da seguire nell’interesse dei figli.

E’ quanto suggerito nella Risoluzione del Consiglio d’Europa n. 2079 del 2015.

In realtà, questa Risoluzione è passata, fino ad oggi, sotto silenzio, e se ne torna a parlare ora sotto l’input dato da una recente decisione della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, la quale ha condannato lo Stato tedesco (qualche volta sbagliano anche loro!) per avere sospeso per ben tre anni i rapporti tra un minore e il padre.

La Risoluzione raccomanda agli Stati membri di introdurre la pratica Cochemer.

La Cochemer Praxis non è, in realtà, una pratica innovativa, dato che venne elaborata ed applicata negli anni Novanta nell’omonima città tedesca, da un giudice particolarmente attento e orientato a trovare soluzioni contro il fenomeno dell’alienazione genitoriale.

Questa pratica consisteva, detto in estrema sintesi, nell’indirizzare i genitori che si separavano ad una sorta di mediazione obbligatoria. Tutti, giudice, avvocati, servizi sociali, erano parte attiva della Cochemer Praxis. Gli avvocati dovevano impegnarsi a redigere atti difensivi a basso impatto, mentre si cercava una soluzione concordata. Una volta raggiunto l’accordo, se uno dei genitori ostacolava la relazione del figlio con l’altro, l’affidamento passava a questo.

Vi dirò nel prossimo post cosa ne penso della pratica Cochemer. A presto.