L’esperto risponde

Diritto di Famiglia

Qual è la differenza tra separazione consensuale e separazione giudiziale?

La separazione consensuale è possibile soltanto se tra i coniugi viene raggiunto un accordo sulle condizioni che dovranno reggere i rapporti personali e patrimoniali reciproci e i rapporti di ciascuno con i figli. Se l’accordo non viene raggiunto, la separazione sarà inevitabilmente giudiziale, nel senso che le condizioni della separazione verranno stabilite dal tribunale. L’accordo è possibile anche durante lo svolgimento del giudizio; in tal caso, la separazione, avviata come giudiziale, verrà definita come consensuale. La separazione consensuale è preferibile poichè riduce tempi e costi, oltre a favorire rapporti più sereni tra le parti.

È vero che oggi è possibile separarsi e divorziare anche senza rivolgersi al giudice?

Sì, a partire dal dicembre 2014 è possibile separarsi, come pure divorziare evitando la procedura davanti al tribunale.

Si tratta di una procedura semplificata, denominata “negoziazione assistita”. Essa si svolge e si conclude con l’assistenza degli avvocati, i quali, una volta firmato l’accordo tra marito e moglie, trasmettono detto accordo alla Procura della Repubblica per un controllo di regolarità.

Dopodiché, l’accordo viene pubblicato nei registri dello stato civile. La separazione il divorzio si intendono perfezionati fin dal momento della firma dell’accordo.

La procedura di negoziazione assistita è possibile anche quando i coniugi hanno figli?

Sì, la separazione semplificata (e così pure il divorzio) mediante negoziazione assistita dagli avvocati è possibile anche in presenza di figli, e anche quando i figli sono minori di età oppure maggiorenni ma economicamente non autonomi, o portatori di handicap grave.

In questi casi, tuttavia, una volta che l’accordo è stato concluso e trasmesso al Procuratore della Repubblica, può accadere che il Procuratore lo ritenga non conforme all’interesse dei figli minori, e lo trasmetta al Presidente del tribunale. Questi convoca le parti entro i successivi 30 giorni.

Perché i coniugi che intendono separarsi o divorziare dovrebbero preferire il nuovo sistema della negoziazione assistita, anziché rivolgersi al tribunale?

La risposte è semplice. Sono noti, infatti, i tempi della gestione di una pratica davanti all’autorità giudiziaria. Questi fanno sì che un procedimento di separazione, quand’anche consensuale, richieda mesi e mesi prima di poter essere definito.

Con il sistema introdotto a fine 2014, l’aspettativa è quella di una significativa riduzione dei tempi necessari per separarsi, come pure per divorziare. Le prime applicazioni concrete confermano un’effettiva riduzione dei tempi.

Nel migliore dei casi, e cioè quando sia possibile raggiungere subito l’accordo, l’iter potrebbe concludersi anche in poche settimane.

Cosa bisogna fare per separarsi/divorziare con il nuovo strumento della negoziazione assistita?

Si tratta semplicemente di rivolgersi al proprio avvocato di fiducia, o comunque ad un avvocato competente nella materia, il quale darà tutte le informazioni necessarie e utili. Anzi, sulla base della nuova legge, l’avvocato deve informare specificamente la persona che a lui si rivolge riguardo alle diverse opzioni esistenti per separarsi, come pure per sciogliere il matrimonio.

Marito e moglie sono già separati (o divorziati), ma intendono modificare le condizioni a suo tempo stabilite: possono avvalersi del nuovo strumento nella negoziazione assistita?

Senz’altro sì. La recente riforma del 2014 prevede, infatti, che la negoziazione assistita dagli avvocati possa venire utilizzata anche per concordare qualsivoglia modifica alle condizioni vigenti di separazione o di divorzio.

Le condizioni della separazione possono essere modificate in un momento successivo?

Sì, è possibile modificare quanto già concordato in sede di separazione consensuale o deciso dal giudice. A partire dal dicembre 2014, tale modificazione può essere concordata e realizzata dai coniugi (o dagli ex coniugi) anche senza dover tornare davanti al giudice. Non è più necessario, in altri termini, che l’accordo di modifica venga ratificato dal tribunale.

Occorre, però, che nella situazione di fatto siano intervenute variazioni che giustificano la revisione delle regole vigenti, come per esempio il trasferimento di uno dei coniugi con il figlio in una città lontana oppure il mutamento della condizione economica di uno dei due.

Vorrei divorziare: cosa devo fare? A chi spetta il mantenimento?

Prima di divorziare bisogna procedere con le pratiche per la separazione, che può essere consensuale, quando c’è accordo tra i coniugi, o giudiziale, nel caso contrario. Dopo tre anni dall’udienza di comparizione davanti al giudice della separazione, e sempreché sia stata pronunciata quest’ultima, si può chiedere il divorzio. Il divorzio comporta la fine del matrimonio, ovverossia il venir meno del vincolo coniugale.

Rimane, però, un vincolo di solidarietà sul piano economico, da cui sorge il diritto all’assegno divorzile per il coniuge che non abbia mezzi economici adeguati a conservare il tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale.

L’accertamento del giudice deve tenere conto non solo del reddito lavorativo, ma di ogni genere di entrata, compresa la titolarità di cespiti patrimoniali.

Vorrei risposarmi ma è in corso da anni la causa di separazione: posso accelerare i tempi per il divorzio?

Sì, è possibile accelerare i tempi del divorzio chiedendo, nella causa di separazione, una sentenza parziale: in tal caso, pur proseguendo la causa di separazione per definire le questioni in gioco (quali affidamento dei figli e assegno di mantenimento) è consentito introdurre contemporaneamente il giudizio per il divorzio.

In ogni caso, è imprescindibile che siano trascorsi tre anni dalla comparizione delle parti davanti al presidente del tribunale nel giudizio di separazione e che sia stata pronunciata sentenza definitiva di separazione.

Inoltre, a partire da dicembre 2014, è possibile chiedere il divorzio, calcolando i tre anni a partire dalla data dell’accordo di separazione consensuale raggiunto mediante negoziazione assistita dagli avvocati (vedi la relativa faq).

C’è poi una novità: infatti sta per essere approvata in Parlamento la riforma cosiddetta sul divorzio breve che ridurrà da tre ad un anno o a sei mesi, a seconda dei casi, il tempo che deve trascorrere dalla separazione per poter presentare domanda di scioglimento del matrimonio.

A quale dei coniugi spetta l’assegnazione della casa familiare?

Nel nuovo assetto determinato dalla legge n. 54/2006 (cd. legge sull’affidamento condiviso), resta salvo il principio per cui la casa familiare viene assegnata tenendo conto, prioritariamente, delle esigenze dei figli. Ciò comporta che la casa venga assegnata al genitore presso il cui quale continuerà ad abitare il figlio (minorenne o maggiorenne non economicamente autonomo).

L’elemento di novità rispetto al sistema previgente è dato dalla previsione esplicita che l’assegnazione della casa all’uno o all’altro coniuge costituisce fattore di rilievo economico, di cui il giudice deve tenere conto nella determinazione dell’assetto economico della separazione.

Qualora non vi siano figli, l’abitazione familiare non può essere assegnata ad alcuno dei coniugi.

Sto per separarmi, che diritti hanno i miei figli?

La legge prevede oggigiorno, a seguito della riforma intervenuta nel 2006, l’affidamento condiviso dei figli, come regola generale.

L’affidamento condiviso è essenziale per garantire ai figli la cd. bigenitorialità, e cioè un apporto paritario, da parte dei genitori, sia sul piano relazionale-affettivo, sia sul piano educativo.

Sono possibili deroghe in casi del tutto eccezionali, tra i quali non può farsi rientrare la conflittualità tra i genitori. Se così fosse – come ha spiegato la Cassazione – l’eccezione dovrebbe diventare regola, dato l’elevatissimo numero di separazioni conflittuali.

Il mantenimento dei figli, come deve essere regolato nella separazione?

Anche per il mantenimento dei figli la riforma sull’affidamento condiviso ha apportato importanti modifiche.

Non vale più la regola per cui spetta al genitore non affidatario (generalmente il padre) corrispondere all’altro un assegno mensile, ma questo assegno – detto oggi ‘perequativo’ – è dovuto soltanto se sussista una sostanziale disparità di reddito tra i genitori. Dovrebbe valere, in generale, il criterio del mantenimento diretto.

Per determinare l’ammontare dell’ assegno perequativo, occorre poi fare riferimento ad una serie di parametri indicati dalla legge, tra cui i tempi di permanenza del figlio presso l’uno e l’altro genitore e altresì la disponibilità della casa familiare.

Mio figlio non vuole più vedermi: cosa posso fare?

Il rifiuto del figlio di incontrare uno dei genitori non è raro, e si ricollega ad una molteplicità di motivi. Tra questi va compreso talvolta il condizionamento, magari involontario, dell’altro genitore.

Quando il problema si verifica, non bisogna restare passivi, dato che più tempo passa, più è probabile che la situazione si cristallizzi. L’ordinamento contempla vari strumenti, tra i quali l’avvocato dovrà orientarsi a seconda della situazione specifica.

Talvolta, nei casi più gravi, insorge una vera e propria sindrome descritta dalla letteratura scientifica, che va sotto il nome di PAS O SAP (sindrome di alienazione parentale), e da accertarsi in sede peritale, con una consulenza tecnica.

Con la riforma del 2006 è stata introdotta la possibilità di ricorrere al giudice nel caso in cui l’altro genitore violi le disposizioni sull’affidamento condiviso, o si renda autore di gravi inadempienze: il giudice può ammonire il responsabile o comminare a suo carico una sanzione pecuniaria o anche condannarlo al risarcimento del danno arrecato al figlio e/o al coniuge.

I Servizi sociali hanno allontanato nostro figlio, sulla base di un ordine del tribunale per i minorenni, ma nessuno ci aveva informati. Cosa possiamo fare?

Quello dell’allontanamento dei minori dalla famiglia di origine è un problema molto complesso e doloroso per chi lo vive. Purtroppo, i casi sono frequenti.

La legge sull’adozione prevede nel suo primo articolo che il minore ha diritto di crescere nella propria famiglia, e aggiunge che se entrambi i genitori hanno problemi che non consentono un adeguato accudimento dei figli, devono essere aiutati con interventi dei servizi sociali.

Purtroppo, questo non avviene sempre e si passa direttamente all’allontanamento, collocando i bambini presso istituti o case famiglie o famiglie affidatarie.

Occorre rivolgersi immediatamente ad un avvocato approfonditamente preparato in materia, per presentare subito un ricorso al tribunale per i minorenni.

A cosa servono i patti di convivenza?

Non esistendo una disciplina dedicata alle coppie di fatto, la persona che conviva more uxorio, cioè stabilmente con il proprio partner può cercare di tutelare i propri interessi stipulando degli accordi – detti appunto patti di convivenza – volti a regolamentare i rapporti patrimoniali.

Da convivente che diritti ho sull’eredità del mio compagno?

Il nostro ordinamento non contempla diritti successori a favore del convivente. Questi ha diritto ad una parte dell’eredità nel solo caso in cui il partner premorto abbia fatto testamento. Il testamento deve in ogni caso rispettare i diritti attribuiti dalla legge agli eredi cd. legittimari.

Dubito seriamente che il bambino che porta il mio cognome non sia mio figlio: che fare?

In tal caso, è possibile chiedere il disconoscimento della paternità. Il relativo giudizio è volto ad accertare, mediante prove testimoniali ed esami emato-genetici la sussistenza del rapporto di filiazione tra il minore e colui che allo stato è il padre legittimo.

Una malattia oncologica può incidere negativamente sul giudizio di inidoneità all’adozione internazionale?

La salute fisica degli aspiranti all’adozione internazionale deve essere vautata tenendo conto dell’interesse del bambino da adottare. Di conseguenza, non può darsi una risposta univoca al quesito. Il criterio orientatore, comunque, dovrà essere quello della idoneità del genitore ad assolvere i compiti assistenziali ed educativi verso il minore. Il giudizio, dunque, può essere diverso da caso a caso, ma la condizione di malattia di per sè non è ostativa all’ottenimento dell’idoneità.

Amministrazione di Sostegno

A cosa serve l’amministrazione di sostegno?

L’amministrazione di sostegno è una misura di protezione, introdotta con la legge n. 6 del 2004, che ha lo scopo di tutelare le persone prive in tutto o in parte di autonomia, senza però mortificarle.

L’amministrazione di sostegno interviene, in altri termini, a supporto di quei soggetti che non appaiono in grado di (o che incontrano serie difficoltà nel) compiere gli atti e le operazioni della vita quotidiana e di curare i propri interessi.

L’amministratore di sostegno è, dunque, una persona nominata dal giudice tutelare che affianca o, a seconda dei casi, sostituisce il cd. beneficiario nel compimento degli atti della vita di ogni giorno.

Quali sono i soggetti che possono beneficiare dell’amministratore di sostegno?

Destinatari dell’amministrazione di sostegno sono gli individui portatori di un disagio (dovuto all’età avanzata, o ad una malattia o ad una invalidità fisica o psichica, o di natura sensoriale) che rende loro arduo, nella quotidianità, far fronte al concreto svolgimento di una o più attività.

Chi può essere nominato amministratore di sostegno?

Di norma vengono preferite persone legate da parentela con il beneficiario, ma può essere anche designata una persona estranea che venga ritenuta idonea a garantire il rispetto degli interessi del soggetto bisognoso. In ogni caso, non si richiedono competenze specifiche per svolgere l’incarico.

L’amministratore di sostegno ha diritto ad un compenso?

L’amministratore di sostegno non potrebbe, in teoria, percepire alcun compenso per l’incarico: possono essergli riconosciuti soltanto un rimborso delle spese e, in taluni casi, un equo indennizzo stabilito dal giudice tutelare, in relazione al tipo di attività, in particolare a seconda dell’entità del patrimonio e della difficoltà dell’amministrazione.

Può l’amministratore di sostegno compiere attività non previste al momento della nomina?

No, i compiti dell’amministratore di sostegno vengono analiticamente stabiliti nel decreto di nomina, emesso dal giudice tutelare. Egli deve attenersi scrupolosamente a tali indicazioni. Se si presenta la necessità di porre in essere atti non previsti nel decreto, l’amministratore di sostegno deve rivolgersi al giudice e chiedere l’autorizzazione, nell’interesse esclusivo del beneficiario.

Quanto tempo dura l’incarico di amministratore di sostegno?

La durata varia a seconda dei casi. Spetta al giudice valutare se disporre una nomina a tempo indeterminato o per un tempo determinato. È sempre possibile la proroga successiva allo scadere del tempo inizialmente stabilito.

Risarcimento Danni

Che cos’è il danno esistenziale?

In termini riduttivi e schematici può dirsi che il danno esistenziale è la compromissione di un’attività realizzatrice della persona, determinata da un fatto illecito, cioè da una condotta dolosa o colposa di altri. Si tratta, in definitiva, del peggioramento della qualità della vita, dato che se mi ritrovo nell’impossibilità di dedicarmi alle mie abituali attività quotidiane, ne seguirà inevitabilmente un peggioramento della qualità della mia esistenza.

Si pensi ai familiari di chi resti invalido per un intervento chirurgico malriuscito. Quei familiari, essendo costretti ad assistere continuativamente il congiunto invalido, dovranno modificare le proprie abitudini di vita, magari cambiare orari di lavoro, rinunciare ad attività sportive e ricreative e via dicendo.

Che cos’è il danno morale?

Il danno morale è il genere di pregiudizio che si determina nella sfera interiore della persona vittima di un illecito; esso consiste nell’emozione negativa, ovverossia nella sofferenza interna che la vittima prova a causa e per effetto dell’illecito. Vi rientra anche il lutto e, dunque, il danno morale può avere durata variabile e intensità differente da caso a caso.

È intuitiva, per esempio, la differenza che passa tra il sentimento di offesa che deriva da un’ingiuria o diffamazione e la sofferenza interiore conseguente alla perdita di una persona cara.

Che cos’è invece il danno biologico?

Il danno biologico è la sola figura di danno di natura non patrimoniale consacrato dalla legge. Ciò nonostante, non si tratta del tipo di danno più importante o del solo risarcibile. Esso consiste nella compromissione dell’integrità fisio-psichica della vittima di un illecito, da accertarsi in sede medico-legale e che viene espressa in numeri percentuali.

Alle diverse percentuali di invalidità biologica corrispondono valori tabellari sulla cui base, generalmente, il giudice commisura l’entità del risarcimento da riconoscere alla vittima. Le tabelle però non sono vincolanti.

Posso essere risarcito per la perdita del congiunto?

Certamente sì, ma il presupposto immancabile, che deve essere accertato dal giudice, è che la morte sia stata provocata da una condotta dolosa o colposa di altri. Il risarcimento per la perdita di un familiare o di un parente comprende generalmente varie tipologie di danno sia patrimoniale, sia non patrimoniale. In quest’ultima categoria, oggigiorno, si fa rientrare il danno biologico, quello esistenziale e quello morale.

Mio marito mi tradisce e si fa vedere da tutti con la propria amante, che presenta come “fidanzata”. La porta anche in casa, e mi costringe a dormire altrove. Chiaramente ho deciso di separarmi e di chiedere l’addebito. Ma posso chiedere anche il risarcimento dei danni?

La violazione del dovere di fedeltà come di ogni altro dovere coniugale può portare all’addebito della separazione a carico del coniuge responsabile. Non vi è, d’altra parte, alcun automatismo tra inosservanza di un obbligo coniugale e la commissione di un illecito civile. Soltanto se la condotta dia luogo ad un illecito, sorge il diritto al risarcimento dei danni conseguentemente subiti.

Nel caso in esame, l’adulterio non conduce necessariamente ad una condanna risarcitoria a carico del coniuge fedifrago; tuttavia, le modalità con cui il marito ha tradito la moglie possono dirsi gravemente lesive della dignità personale di questa e, di conseguenza, è configurabile il diritto della donna al risarcimento del danno non patrimoniale (morale ed esistenziale).

Sono stato ingiustamente licenziato, ho diritto ad un risarcimento danni?

Assolutamente sì, dato che il licenziamento illegittimo è fonte di danni di varia natura per chi lo subisce. Lo stesso va detto per il demansionamento, come pure per il mobbing, e per altre condotte datoriali poste in essere contro la legge. Le conseguenze dannose risarcibili sono di natura sia patrimoniale sia non patrimoniale. La quantificazione del danno subito varia naturalmente da caso a caso.